Come nasce una nuova barca? Pierangelo Andreani si racconta

di | 12 Febbraio 2016

barchemania_andreani_intervista_barhcemania_oscarbellandi_pierangeloandreaniLo scorso gennaio mi trovavo in fiera in Germania e come sempre accade in queste occasioni, ho rivisto una persona che posso definire un amico e gli ho chiesto se si poteva pranzare insieme.

Da questa chiacchierata è nata una vera intervista, che solo leggendola capirai veramente il calibro di questa persona che senza fare false modestie ha contribuito e lo fa tutt’ora, a rendere il design made in Italy famoso nel mondo.

Parlo di Pierangelo Andreani, magari puoi non conoscerlo, ma non puoi non conoscere MotoGuzzi, Ferrari, Fiat, Pininfarina, Maserati e poi nella nautica Crachi e Bénéteau, e non sono tutti.

Pierangelo mi ha raccontato i suoi 45 anni di lavoro nel design, i suoi più grandi successi, il suo segreto per essere dopo così tanti anni di carriera, ancora uno dei designer più ricercati al mondo.

Alla domanda, qual’è stata l’esperienza lavorativa che ti ha dato la più grande emozione mi ha risposto: ” Quella che verra!”

Chapeau al uomo che non ha mai smesso di chiedersi qualcosa in più.

Ora basta, ho scritto anche troppo, ti lascio alla lettura di uno spaccato di storia italiana e leggi tutto, siccome alla fine c’è uno dei migliori messaggi che abbia mai sentito da una persona affermata.

 

B. Mi racconti qualcosa sul tuo inizio? Che cos’hai fatto dopo la laurea o lo stage?

A. Prima di tutto non sono architetto, sono solo geometra. Non ho voluto fare l’Università perché volevo andare a lavorare, nel caso ce l’avessi fatta naturalmente, nel mondo dell’auto.

Avevo il pallino di disegnare le auto… Allora mandai tutte le domande alle varie aziende. Allora, parlo del 1969, non c’era nessuna scuola di design. Andai da Pininfarina, ma solo due giorni. Mi dissero: “Disegna bene, ma abbiamo appena assunto due persone”. Ripiegai sulla FIAT (dico ripiegato perché per me allora Pininfarina era il top del design dell’auto).
Venni preso all’Ufficio Stile della FIAT, dove rimasi un anno e qualche mese. Andai via perché il direttore di Pininfarina mi chiamò e mi disse che si era ricordato di me, che aveva visto i miei disegni e per quello mi aveva contattato. Risposi che ero a Torino, e che il giorno dopo sarei andato.

Così sono andato via da FIAT e sono stato assunto da Pininfarina. Questo è stato l’inizio della mia carriera, ma quando andavo a scuola già disegnavo automobili e tante altre cose, come ad esempio quadri, sempre da autodidatta. Nel mio motto ho scritto “guidato dalla passione”: è solo questo che mi ha guidato a fare il designer.

Lavorando alla Pininfarina ho acquisito altre visioni del design, non solo dell’auto: si facevano molte cose, come ad esempio le macchine a movimento terra, una barca, scarponi da sci. Capii che il mondo del design era vario. Fu l’inizio di tutto.

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Dopo l’esperienza in Pininfarina, durata circa cinque anni (in totale ho passato sei anni a Torino), sono stato chiamato da De Tomaso a disegnare le Moto Guzzi. Sapevo che sarebbe stata una possibilità per avvicinarmi a casa e per allargale la visione del design. In più le moto mi piacciono: mi piace tutto ciò che si muove, che è dinamico. Anche se disegno una lavatrice cerco di dargli un po’ di dinamicità!

 

De Tomaso, poco dopo il mio arrivo, aveva comprato la Maserati. Così mi chiese di disegnare quella che sarebbe diventata la Biturbo: tornai a disegnare automobili, felice di fare un’esperienza diversa da quella che avevo avuto in Pininfarina.

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Ero molto più libero da una parte, e dall’altra più costretto, visto il budget limitato per ogni progetto.

Per quanto riguarda le moto ho acquisito parecchio: essendo curioso, per natura e per professione, mi sono interessato ed andare a vedere come si facevano i serbatoi, le selle, il telaio, come veniva stampata la plastica, il metallo… Dovendo andare nelle modellerie, sono riuscito ad acquisire un’esperienza che, stando dentro una ditta come FIAT o Pininfarina, non avrei potuto acquisire.

In queste aziende tutto funzionava a compartimenti stagni: c’era il direttore, c’erano i designer (quattro o cinque): se veniva scelto un mio disegno andavo a seguire il modello, che allora si faceva in legno o in gesso (alla FIAT), per cercare di capire se l’interpretazione era corretta.

Naturalmente prima andava fatto il disegno, con le varie sezioni. Però finiva lì. Lavorando per una ditta più piccola invece, essendo anche rivestito di una responsabilità maggiore, dovevo andare ad interessarmi di persona.

Si partiva dal disegno della carrozzeria: il telaio non lo disegnavo io naturalmente, ma un ingegnere, anche se potevo sempre chiedere di aggiungere qualche curva, senza mai intaccare la fattibilità e l’efficienza del tutto.

Mi trovai a fare i primi disegni e seguire i modelli, ma anche ad andare direttamente dal fornitore, cercare di capire quali erano i problemi nello stampaggio della plastica o della lamiera. Insomma, cominciare ad avere una visione completa del progetto. Questo aspetto lo trovo altamente positivo.

Quando un designer deve disegnare un oggetto dovrebbe pensare a come viene realizzato, con quale materiale, per poter avere un quadro generale, un’ordine di idee che lo aiuti a capire se una strada è molto più costosa di un’altra. Lo trovo fondamentale.

Ad esempio, ho fatto dei lavori per Nissan negli anni Ottanta e l’azienda chiedeva al designer, più che cose tecniche, idee.

Sono stato anche Giappone un paio di volte, per seguire dei modelli di auto. Insieme a due soci ci siamo occupati di creare i modelli completi degli interni: ci venivano date le misure da rispettare e noi disegnavamo tutto.

Gli interni erano rivestiti in pelle, quindi ti sedevi e sembrava vero! Le ditte giapponesi a quell’epoca cercavano, oltre al loro centro stile e al loro centro interno, idee esterne, diverse, qualcosa in più rispetto a quello che potevano avere dai loro designer.

Chiedevano meno ingegneri, non chiedevano quindi al designer di essere troppo tecnico, ma volevano idee fresche. Si parla della visione di una grande azienda, che cercava idee nuove.

 

B. Quali passaggi hai fatto per arrivare, o ritrovarti anche nel mondo della Nautica?

A. Proseguendo la mia carriera, ho finito di lavorare per De Tomaso dopo quattro o cinque anni. Per tre o quattro anni mi occupai di consulenza per Cagiva (era una ditta nuova che aveva rilevato dall’Harley Davidson tutta l’azienda italiana e aveva bisogno di sviluppare modelli). Per loro ridisegnai le carrozzerie.

Sapevo come muovermi nell’ambito dei fornitori: questi non sono tantissimi. Parlando degli italiani, quelli che facevano la plastica, il metallo, che rivestono le selle, che creano i fanali, non erano molti.

Ho collaborato anche con ditte che fanno gli strumenti, i fari (la CEV Pagani, la ECE – che adesso sono entrambe passate sotto un altro gruppo).

barchemania_andreani_intervista_barhcemania_cranchiHo avuto poi altre collaborazioni, al di fuori del mondo auto e motociclette: parlo di Cranchi, conosciuto quando ancora lavoravo in Pininfarina e che nel tempo è cresciuta, seguendo lo sviluppo dell’azienda e delle barche.

Contemporaneamente però, dato che quando lavoravo per Cagiva non ero fisso tutta la settimana, ma lavoravo uno-due-tre giorni a Varese, ero più libero sia per Cranchi che per altri clienti: la SCM, ditta che fa macchine per il legno, che mi ha chiesto di curare l’estetica delle loro macchine (un progetto un po’ fuori dai canoni normali, ma che ritenevo importante, perché riguardava quello che si vede della macchina ma toccava anche l’aspetto funzionale e grafico).

Fu molto interessante.

Inoltre SCM aveva molte aziende nel gruppo: si parla di una ditta che acquisì negli anni molte altre ditte, come ad esempio Morbidelli ed altre in Veneto e a Bologna, comprese aziende che si occupavano di macchine per l’imballaggio. Ho fatto disegni per una bicicletta elettrica che poi è stata venduta alla Piaggio: aveva il telaio in alluminio fuso in conchiglia con la tecnologia con cui si fanno le ruote a lega leggera per le macchine.

Anche questo fu un approccio interessante.

Da tanti anni poi collaboro con una ditta di Taiwan per disegnare soprattutto scooter, moto, e la società di design che poi disegna le moto, disegna anche altri oggetti: io l’ho spinta a farlo perché il mercato, parlo di ventisette anni fa, era molto aperto a ricevere nuovi design.

Il mio approccio con il design è diventato più pragmatico ed ingegneristico: mi piace collaborare maggiormente con l’engineering dell’oggetto. Ho lavorato ai disegni di una macchina per caffè, di quelle con le cialde: con il mio studio abbiamo disegnato tutta la macchina, esclusa la caldaia che scalda. Tutte le altre parti sono stampate in plastica, tranne alcune parti in metallo. Ci siamo occupati di tutto: questo mi interessa.

 

B. Qual’è stata l’esperienza lavorativa che ricordi con maggior emozione?

A.  L’emozione più grande è quella che verrà!

Sono tanti i progetti a cui mi sono affezionato. Il riuscire ad entrare nel mondo del design dell’auto, mondo che sognavo da ragazzino, era già un punto d’arrivo importante. Mi accorgo solo adesso di quello che doveva sembrare, visto da fuori, lavorare alla Pininfarina: era un punto d’arrivo per tanti ed io ci ero arrivato senza nemmeno troppa fatica.

barchemania_andreani_intervista_barhcemania_ferrari_mundial8E poi ho disegnato una Ferrari! Magari è la più brutta, ma dato che né il direttore né nessun altro riusciva a disegnarne una migliore, scelsero quella. Era la Mondial 8.

Un progetto al quale mi piacque molto partecipare fu quello della Maserati Biturbo. Mi sono divertito ad avere a che fare con De Tomaso, un personaggio strano, fuori dalle righe. È uno di quei progetti che ho seguito per intero, esterni ed interni.

Anche il progetto della Benelli 900 SEI, che come progetto era innovativo: carrozzeria con due fianchi di plastica, serbatoio di plastica invece che di lamiera.

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Anche la Moto Guzzi, per i modelli che ho disegnato io, con tutti i limiti del caso posti dal budget: da ragazzino era il mio mito.

barchemania_andreani_intervista_barhcemania_cranchi_mediterranee40Per il mondo nautico sono stato felice di fare lavorazioni per Cranchi, ricordo il 40 Mediterranee il 39. E per Beneteau, il 37 Montecarlo, ebbi una soddisfazione piccola ma personale: mi scrisse un signore che aveva comprato un Cranchi 32 qualche anno prima e quando vide quella barca riconobbe la pulizia delle linee e mi fece i complimenti.

 

barchemania_andreani_intervista_barhcemania_Bénéteau_swifttravler30Mi è sempre piaciuto partecipare a progetti nuovi: l’ultimo progetto di Beneteau, il Swift Trawler 30, è un progetto che mi piace, mi ha dato soddisfazione. Prima di tutto perché il budget era contenutissimo, per cui la barca doveva costare X e, grazie all’aiuto di tutto lo staff tecnico, siamo riusciti a creare una barca ben riuscita rispettando il budget. È un prodotto difficile: dimensione contenute, molte richieste sugli interni.

C’era il pericolo che diventasse la caricatura di una barca più grossa, un po’ come le macchinine per quelli che non hanno la patente: hanno le ruote piccole, strette, vogliono fare il verso alle macchine più grandi ma sono caricature. Ecco, quello era il rischio. Sono contento del risultato.

 

L’emozione più grande è davvero quella che verrà: lo dico perché per chi fa il mio mestiere, il designer, accontentarsi di quello che si è già fatto è la fine. Si siede e non fa più niente.

Io mi metto in discussione, mi metto in gioco continuamente e sono pieno di dubbi perché secondo me è così che dev’essere. Le certezze non le avrò mai. Tranne quando mi piace un progetto ed insisto per farlo in un certo modo, ma fornisco comunque le mie motivazioni. Ma si può sempre fare meglio.

 

B.Molti operatori del settore ti conoscono per la storica collaborazione con Cranchi. Senza parlare di meglio o peggio, quale vantaggio riconosci nel lavorare per un’azienda come Bénéteau e quali invece sono i vantaggi di lavorare per aziende come Cranchi?

 A. Certamente la visione di un grande gruppo che fa molti modelli, dal piccolo al grande, dalla vela al motore, dev’essere una visione più ampia, più aperta.

La differenza del lavorare per uno o per l’altro non è così grossa tutto sommato. Il mio lavoro dipende sempre dal budget che la ditta vuole mettere nel progetto che la ditta vuole sviluppare. Bisogna starci dentro con una profittabilità adeguata al mercato.

Chiaramente Bénéteau ha grandi risorse, sia di denaro che di personale, e questo facilita il fatto di poter realizzare cose dove c’è uno studio tecnico più accurato: se serve una persona in più questa viene reperita.

Esiste una struttura, e questa è la differenza maggiore: esiste un’organizzazione. Una società piccola come Cranchi è una società familiare dove le decisioni vengono prese, nel bene e nel male, da una persona. Un po’ come con De Tomaso: lui decideva cosa c’era da fare, e chiaramente si prendeva tutti i rischi del caso.

Una ditta più grande è strutturata in modo diverso. Anche ci fosse un solo padrone sopra tutti, ci sono vari settori di marketing, di ricerca, gli uffici tecnici, l’ufficio per le scelte dei materiali. In una ditta piccola il designer deve fare tanti giri per andare cercare materiali eccetera.

Cranchi però ha sempre fatto innovazione. Questo non toglie che la struttura è diversa. Una struttura su cui puoi contare ti permette, con l’aiuto di tutto lo staff, di realizzare cose in un modo industrialmente corrette, stando dentro al budget.

 

B. Spesso si fanno confronti tra il mondo delle auto e quello delle barche. Quanto è giusto?

A. Quando fai una barca nuova l’obiettivo è quella di renderla migliore rispetto a quella vecchia. Per cui l’aspettativa del cliente e del rivenditore, del consumatore, è che uscito il modello nuovo e che andrà meglio di quello vecchio, sarà più silenzioso e confortevole, gli interni saranno rifiniti meglio.

Si parla di un avanzamento che non è una rivoluzione ma un processo di costante miglioramento.

Il parallelismo è corretto se si parla dell’aspettativa del cliente.

Se si parla del prodotto no, non perché la macchina non galleggia!

Si tratta dei numeri, che sono totalmente diversi. Le auto di test, i prototipi, quelle che vengono usate per i crash test e poi buttate, sono un anno di produzione per una barca.

Cioè, fanno 100/200 auto prima di iniziare la produzione. La barca invece è immediata. Per questo la spesa non è paragonabile: i numeri sono sostenuti dalla spesa che potresti fare.

Se faccio un cruscotto con la tecnologia che si usa per le auto, investo tutti i soldi che servirebbero per la costruzione di tutta la barca! …Solo per fare il cruscotto… o per fare lo stampo della porta.

Milioni di euro per allestire la catena di montaggio, una cosa che non si riesce nemmeno a quantificare. Però sono spese sostenute dai numeri.

 

B. Mi ha sempre incuriosito il processo che un architetto segue per realizzare una barca. Riesci ad indicarmi gli steps che segui… senza svelarmi troppo?

A. Parliamo di steps? C’è un brief iniziale dove viene spiegato quello che vuole l’azienda. Viene spiegato in questi termini: è una barca lunga X, larga Y, con due camere da letto, due bagni, un salotto…

Si specificherà la categoria (sportiva, da crociera con il flying bridge, un trowler). Si parte da una carena che poi viene modificata, giusto un abbozzo per avere un’idea di dimensioni e volume. Poi si passa all’estetica: non bisogna dimenticare che si tratta di una scatola che deve contenere volumi.

Il mio approccio è abbastanza pragmatico: mi occupo per prima cosa di vedere cosa ci sta dentro. Quindi controllo i volumi delle cabine, le altezze, della cucina. Poi si fa il profilo esterno, restando dentro i paletti imposti.

Non posso pensare che una persona sia alta 1,30cm, quindi mi devo regolare di conseguenza. Oggi il 3D dà la possibilità di realizzare in fretta i volumi e capire con facilità se ci sono errori macroscopici o no, altrimenti dovresti fare sezioni, sviluppi, pianta. Oggi è molto più semplice. In poco tempo fai una carena che poi verrà affinata da chi di dovere.

Questo è il passo uno e mezzo!

Io faccio queste verifiche per non ingannare me e il cliente: parlo dei volumi, prima ancora di passare ai profili di scafi e coperta. Fatti questi si mostrano al cliente per spiegare il progetto e la propria visuale.

Si mostrano anche un paio di layout. Poi il cliente sceglie e da lì si inizia a fare un progetto più mirato dove chi deve disegnare la carena, interno alla ditta o esterno, fa il suo lavoro: devi fare un calcolo del peso della barca e quindi devi avere un’idea di quello che ci va dentro. E questo lo devo fare io. Devo dire: “lì ci sono tre mobili, lì il letto, lì la cucina, lì il frigorifero”, così che si possa fare un calcolo del peso complessivo di tutto l’interno (kg più, kg meno). Così si trova il baricentro della barca e si può disegnare la carena.

Chi disegna la carena traccia linee idrodinamiche ideali, ma se poi si fanno varianti queste non influiscono sulla navigabilità. Parlo ad esempio della linea vista in pianta totale della parte giunta scafo-coperta, che può essere più larga o più affilata. Questo esula dal problema della navigabilità.

Anche qualche dettaglio nelle sezioni dello scafo può essere modificato (parlo di ciò che sta sopra il livello dell’acqua).

Ci sono poi regole che vanno rispettate, come ad esempio gli angoli di visibilità, sono norme ufficiali di omologazione. Poi si può iniziare a scendere più nei dettagli, parlando di layout.

Qui il lavoro di ingenierizzazione dell’interno diventa più pesante perché devi disegnare il volume dei mobili (il dettaglio lo disegni dopo). Certo non è affar mio come viene disegnato l’interno mobile, è un lavoro di ingenierizzazione che solitamente occupa l’ufficio tecnico.

Ecco il vantaggio di lavorare per una grande azienda come Bénéteau rispetto ad un cantiere piccolo, dove le persone sono sempre quelle. Qui è più facile lo scambio di idee, perché non devi spiegare sempre le stesse cose a chi arriva ed è nuovo, ma ci sono tecnologie costruttive che ogni cantiere, ogni mobiliere, sviluppa e che nel tempo si sono affinate internamente, distinguendo i vari cantieri.

Si tratta di abitudini, opportunità. Bénéteau fa il legno all’interno, si tratta di una delle poche ditte che fa tutto internamente: se vuoi una verniciatura di un certo tipo lì hai il vantaggio di farlo direttamente con loro, e lo svantaggio che le cose potrebbero costare molto o che chiedere una variante potrebbe creare problemi.

In una ditta grossa c’è meno flessibilità perché devono fare centoventi modelli tra vela e motore, e quindi sanno quanto tempo dedicare ad un singolo progetto.

 

 B. Come pensi si evolveranno sotto laspetto tecnico le barche del prossimo ventennio?

A. Se non vengono scoperti materiali più leggeri o più performanti, come resine che pesino meno per alleggerire la barca, credo che sarà difficile avere grandi rivoluzioni per quello che riguarda il design delle carene o le performance delle barche.

Per la visione generale di come sarà il mondo nautico, penso che le persone si orienteranno più sul fatto di avere una seconda casa, se si tratta di barche di certe dimensioni, piuttosto che cercare le performance. Rimarrà una nicchia quella dello “smanettone”, come sta diventando una nicchia quello che va veloce in automobile.

Oggi, per ragioni varie e diverse, l’auto si sta orientando su modelli più confortevoli, più connesse con la rete e la telefonia e le performance sono meno importanti. Tutti sanno che i motori delle auto possono avere certe prestazioni, ma che sei obbligato a rispettare delle leggi per quanto riguarda la velocità, il traffico. Quindi il viaggio in auto sarà più alla ricerca del comfort e probabilmente, tra non molti anni, si parlerà sempre di più di auto elettrica o di auto-guida.

Nella nautica, siccome la barca non ti serve per spostarti a meno che tu non sia un professionista, si parla di persone che hanno un sogno, un desiderio, e continuerà ad esistere in questo senso.

Magari però il sogno trasmigrerà un po’ in un desiderio di libertà, quindi di avere una seconda casa. È un po’ insito nel concetto stesso di barca, sia che si parli di vela o di motore. Si cercheranno più comfort, più tranquillità e sicurezza. Le performance pure andranno un po’ in secondo piano, tranne per la nicchia.

Esisteranno barche di lusso (le barche sono tutte di lusso…) che più grandi saranno più saranno personalizzabili, e più piccole saranno più saranno per la massa, quindi si cercherà di abbassare il costo di produzione e renderle più accessibili.

 

B. Consigli di fare esperienze trasversali oppure focalizzarsi solo su un certo prodotto.

A. Per me è importante saltare da un progetto di uno scooter, a quello di una barca o un’altra cosa. Può sembrare contrario ai tempi di oggi, dove esiste l’iper specializzazione, in medicina come in ingegneria, e anche nel nostro mondo. Per me fare per quarantacinque anni la stessa cosa sarebbe stato davvero un disastro.
barchemania_andreani_intervista_barhcemania_beneteau_montecarlo37Disegnare una plancia per la duecentocinquantesima volta…

Penso possa arricchire il fatto di saltare in campi diversi, perché si tratta di un arricchimento professionale che fa bene. Il prodotto è comunque fatto di plastica o di legno o di metallo. Sapere come utilizzare questi materiali o come vengono stampati è una conoscenza in più, soprattutto se si viene da un settore diverso.

La carrozzeria di una moto è fatta in modo diverso rispetto a quella di un auto. Però l’interno di un auto è il riassunto di tante cose: di plastica, di pelle, di selleria, di cromi, di elettronica. L’esterno è più semplice, in generale quello che si vede è più semplice.

Si tratta di volumi con dettagli come ad esempio buchi, i fanali, le mascherine che identificano il marchio. Se uno potesse prendere tutte le auto e togliere il marchio davanti, spesso si farebbe fatica a capire di che auto si tratta.

Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che vuole disegnare le barche direi di fare un’Università, Southampton piuttosto che l’Italia, che possa insegnargli bene a diventare un architetto o ingegnere navale in tutti i sensi. Se è un designer, aver fatto ingegneria sarà un plus, mai una mancanza. Se invece si vuole dedicare solo al design puro, allora ci sono tante scuole, c’è l’imbarazzo della scelta.

 

 B. Cosa diresti oggi, da designer affermato e con una lunghissima esperienza ad un Pierangelo, ventenne che vuole percorrere la tua strada?

A. Gli consiglierei di andare a bottega e di essere umile verso se stesso e verso gli altri.

Anche se fai tre anni di master nel posto più quotato del mondo non è detto che poi tu sappia fare qualsiasi cosa.

Io ho sostituito l’Università con l’andare a bottega. La mia Università è stata la FIAT prima, e la Pininfarina dopo. Per quello che poi ho fatto nei quarantacinque anni successivi, è andata bene.

Chiaramente mi mancano le basi ingegneristiche per progettare uno Chassis di un auto. Ma non è mai troppo tardi, si può sempre incominciare a studiare!

 

O. Grazie a Pierangelo Andreani per questa bella storia

Oscar Bellandi

Buon Vento

 

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12 pensieri su “Come nasce una nuova barca? Pierangelo Andreani si racconta

  1. alberto

    ciao oscar e no non saresti riuscito a tenere solo per te tanta storia e cultura sullo stile italiano nel mondo di e per tante cose non solo navali tu sei cosi per quel po che ti conosco anche se solo per internet e grazie per ciò che fai conoscere a tutti condividendolo in rete ciao e buon vento a tutti

    Rispondi
    1. Marco Baldrighi

      Sempre interessante e costruttivo per me fare incursioni nelle Sue news, sia per gli aggiornamenti che per informazioni di stile dall’affascinante mondo della nautica! Grazie! A presto e Buon Vento! Marco

      Rispondi
  2. Aimone

    Gent.mo sig. Oscar, ringrazio della condivisione di questa interessantissima intervista. Ci sono tanti spunti di riflessione anche per chi… ha superato una certa età come me. Cordiali saluti.

    Rispondi
  3. roberto dinelli

    con questo articolo le linee del mio passato ora anno un nome.
    ciao e grazie

    Rispondi
  4. Michele Dilengite

    Bellissima storia con relativo percorso ed esperienza lavorativa. Anche io sono geometra ed ho appreso tutto sul campo del fare. Complimenti!

    Rispondi

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